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il potere esercitato sui deboli

Un politico investe di notte un pedone e chiede al suo autista di prendersi la responsabilità in cambio di denaro: le elezioni sono alle porte e deve evitare lo scandalo. L’uomo accetta e passerà nove mesi in carcere mentre il suo datore di lavoro onora il debito ma allo stesso tempo inizia un flirt con sua moglie. Quando uscirà dovrà affrontare quelle che ormai sono le macerie della sua famiglia.

Nuri Bilge Ceylan da vita ad una narrazione densa, silenziosa ma carica di risvolti emotivi e psicologici. Viene a supporto un’ottima messa in scena e una fotografia straniante, che rimanda ad un incubo per i colori irreali della pellicola. E in effetti l’incubo potrebbe essere il leit motiv del film: è un incubo l’inevitabile succedersi degli eventi, dove è il potere a regolare le vite delle persone e dove nessuno sfugge a questo esercizio: il politico usa il potere con il suo autista, ma anche lui a sua volta farà lo stesso con un amico disperato. Ma è anche da incubo la presenza del figlio minore, scomparso piccolo in circostanze non mostrate, e che vediamo turbare i pensieri del fratello maggiore e del padre, nonché quelli dello spettatore; un antefatto che spiega, probabilmente solo in parte, l’origine di una condizione famigliare davvero precaria, dove ormai mancano comunicazione e rapporti affettivi e dove tutti sembrano essere condannati alla ripetizione della sofferenza senza possibilità di uscita. Anche il tentativo del figlio maggiore di uscire dal gioco delle “tre scimmie” (non vedo, non sento, non parlo) finisce col perpetuarlo, costringendo i protagonisti a replicare quel  gioco di potere che restringe gli orizzonti della vita.

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