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Cinque fratelli nell’età della prima adolescenza crescono nella steppa kazaka, lontani da tutto e tutti, così come ha voluto il padre, per preservarli dalle insidie e dalla corruzione della civiltà moderna. I ragazzi crescono lavorando duro e giocando con quello che trovano, con i loro corpi: nuotano al fiume, lottano corrono. All’improvviso appare un ragazzino che viene dalle città, con il suo monopattino elettrico, un tablet e un abbigliamento futuristico. La comparsa di queste novità mette in crisi l’intero sistema rivelandone contraddizioni e corruzioni…nonostante tutto.
Emir Baigazin sceglie una messa in scena ipnotica, caratterizzata da una fotografia che privilegia quasi un monocolore, quello della terra della steppa che è lo stesso dei mattoni della casa e dei vestiti dei ragazzi, tutti uguali. La direzione degli attori è coreografica, il gruppo dei ragazzi si muove seguendo un ordine e una coordinazione che è presente pur non essendo decifrabile a prima vista. Tutto questo fa emergere da un lato l’uniformità e la conformità che è quella che il padre vorrebbe per i suoi ragazzi, dall’altra la contraddizione tra un ambiente che è decisamente improntato alla natura e i ragazzi che sono del tutto antinaturali. Il quadro che ne emerge è quello della conflittualità inevitabile nella vita degli uomini, anche se giovani. I tentativi di educare rigidamente i ragazzi togliendogli tutto naufragano nelle fragilità e nelle debolezze proprie dell’essere umano, che trovano spazio anche in un ambiente che apparentemente non dovrebbe consentirlo.

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