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Su una distesa di campi selvaggi antistante un tratto di costa islandese, tre ragazzini costruiscono lentamente un “nido”, una casetta di legno piazzata si un tronco. Nell’immagine quadrata che ricordo il cinema degli albori, si susseguono una serie di scene riprese esattamente dallo stesso punto di vista. Hlynur Pálmason, in questo cortometraggio, tiene ben ferma la sua macchina dunque, ma è il paesaggio che cambia lungo un periodo di 18 mesi, il periodo di tempo che il regista ha deciso di dedicare a questo suo progetto, coadiuvato dai suoi tre figli, gli unici essere umani che appaiono in scena e che vediamo intenti a costruire la casetta e a giocare tra loro. Il tempo passa scandito dalle stagioni che portano cambiamenti climatici duri, le stagioni a queste latitudini sono estreme. Una riflessione sul tempo, che è allo stesso tempo lento nel suo incedere, quasi immobile come immobile è la macchina del regista; allo stesso è ricco di cambiamenti portati dal clima che altera vistosamente il paesaggio naturale e dalle attività umane, dal fermento tipico dei ragazzi che vivono in perfetta sintonia con l’ambiente che li circonda. Un esempio di adattamento e resilienza alle condizioni estreme della natura ma anche al periodo storico che i protagonisti stano vivendo.

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