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Bill è cinese di nascita ma vive a New York con i genitori sin da quando aveva sei anni. In Cina mantiene però un contatto affettivo importante con la nonna Nai Nai che sente regolarmente per telefono. Quando a Nai NAi viene diagnosticato un cancro con la prospettiva di vivere ancora per tre mesi, tutta la famiglia, chi dall’America, chi dal Giappone torna per passare con lei un po di tempo e salutarla, col patto che nessuno dovrà rivelarle la sua condizione, in perfetta sintonia con la tradizione cinese. Ma per Bill questa idea è incomprensibile.
Lulu Wang mette una grande bugia al centro della sua narrazione, una bugia a fin di bene che dovrebbe servire a proteggere chi è ammalato e fa di questa bugia un dibattito etico. Insieme ad una grande bugia, ci sono tante altre piccole bugie che ognuno dice per cercare di stare meglio con se stessi e gli altri, in sostanza fini di bene come dice il sottotitolo del film. E su questo aspetto si intreccia l’altra grande questione del film, la cultura diversa dei due grandi paesi in questione e la scissione che i protagonisti, nati in Cina ed emigrati in America ed in Giappone vivono inconsapevolmente. Ed è proprio sulla necessità di riuscire ad integrare questi due aspetti, integrazione rappresentata dalla scelta di dire, o meno, la bugia, che i protagonisti dovranno riflettere lungo il percorso del loro commiato dall’anziana parente

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