
Durante i mondiali di calcio del 1998, in un monastero tibetano, un gruppo di giovani monaci si scopre interessato alle vicende calcistiche. Il giorno della finale poi, decisi a non perderla, convincono l’abate a farli assistere all’evento. Ma devono raccogliere soldi a sufficienza per affittare tv e parabola. Non sarà semplice e tutto sommato la partita diventerà un evento secondario.
Khyentse Norbu racconta una storia semplice, che non nasconde nulla di sorprendente ma che ha il pregio di essere “sincera”, e per questo fresca e sempre inaspettata. La filosofia buddista si confronta con il mondo del calcio, un mondo apparentemente lontanissimo. Eppure, proprio grazie alla visione dei monaci, il calcio sembra acquisire una nuova veste, torna ad essere un gioco semplice e divertente perdendo i carichi emotivi che la passione dei tifosi e gli interessi economici gli attribuiscono. L’immancabile morale è che anche il calcio può diventare un momento di profonda riflessione interiore e di conseguenze di crescita spirituale, che si basa sullo spirito comunitario che questi eventi sono in grado di creare.
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