Matthias Luthardt esplora un microcosmo familiare dove il non detto è la base su cui poggiano tutte le relazioni, che inevitabilmente finiscono per essere insoddisfacenti ed oppressive. Ed oppressiva è la messa in scena, un unico ambiente, quello della villa e del suo giardino, dove vivono i quattro unici protagonisti del film. Le passioni tenute sotto la cenere del nucleo familiare, fatta eccezione per l’amore di Anna per il suo cane, emergono quando Paul, soggetto esterno, riesce a portarle in primo piano. Ma evidentemente il gruppo non è pronto per un cambiamento che non ha una base solida su cui svilupparsi, ed il corpo estraneo finisce per essere espulso. Un lavoro asciutto, senza nessuna concessione alla platealità o al sentimentalismo, dove anche la suspance, elemento fondante della narrazione, rimane discretamente sullo sfondo.
Pingpong di Matthias Luthardt
Matthias Luthardt esplora un microcosmo familiare dove il non detto è la base su cui poggiano tutte le relazioni, che inevitabilmente finiscono per essere insoddisfacenti ed oppressive. Ed oppressiva è la messa in scena, un unico ambiente, quello della villa e del suo giardino, dove vivono i quattro unici protagonisti del film. Le passioni tenute sotto la cenere del nucleo familiare, fatta eccezione per l’amore di Anna per il suo cane, emergono quando Paul, soggetto esterno, riesce a portarle in primo piano. Ma evidentemente il gruppo non è pronto per un cambiamento che non ha una base solida su cui svilupparsi, ed il corpo estraneo finisce per essere espulso. Un lavoro asciutto, senza nessuna concessione alla platealità o al sentimentalismo, dove anche la suspance, elemento fondante della narrazione, rimane discretamente sullo sfondo.