Anders sta concludendo il suo programma di recupero presso una comunità per persone con problemi di dipendenza. È il 31 agosto e ha il permesso di andare ad Oslo per un colloquio di lavoro, che sarà anche occasione per incontrare parenti ed amici. Il rientro nella socialità quotidiana si conferma, come d’altra parte temeva, molto difficile e ben presto ricade nei vecchi vizi.
Joachim Trier racconta una storia di disagio esistenziale, che nel caso del protagonista diventa una malattia da tossicodipendenza. Tuttavia il disagio esistenziale è qualcosa che sembra accomunare tutti i personaggi della sua generazione, quei trentenni che non hanno punti di riferimento certi, incapaci di ascoltare ed incapaci di empatia. Il tentativo di reinserimento del protagonista è destinato a fallire non solo perché le opportunità che la vita potrà offrirgli sono piuttosto scarse, ma anche perché quel disagio esistenziale è rimasto profondamente radicato in lui, come possiamo vedere dalla prima sequenza della narrazione. Un film quasi circolare, dove ciò che non riesce all’inizio riesce alla fine, grazie alla nuova spinta emotiva della giornata trascorsa nel mondo. Interessante la scelta di seguire il protagonista quasi fisicamente, i movimenti della macchina sempre molto instabile sono i movimenti nervosi ed incerti del protagonista che dotato di sensibilità ed intelligenza finisce per rimanere vittima di queste caratteristiche
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