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difficoltà nella ricerca dell'indentitàUn racconto circolare che attraversa il tessuto sociale di Teheran con gli occhi di Hussein.
Il lungo flashback che ha inizio nel momento in cui Hussein sta rapinando una gioielleria ci porta per le strade della città, sulla moto di Hussein che gira per consegnare le pizze.
La varia umanità che incontra, che sembra sempre poco attenta all’altro. C’è una parte ricca e mondana che si diverte e che può di aggirare le leggi islamiche; c’è un’altra parte alle prese con le ristrettezze economiche, e tutti in genere sono molto presi dalle proprie cose.
Hussein conduce una vita austera, povera di tutto. Dorme in un letto singolo in una stanza che appena lo contiene; fatica a organizzare il proprio matrimonio per i soldi che scarseggiano ed è molto silenzioso, estremamente introverso.
Finchè scatta il tentativo di rivalsa che lo porterà alla rapina in gioielleria.
Lo stile assolutamente scarno, rigoroso, nel suo attenersi ad una dettagliata narrazione degli eventi, l’uso continuo e sapiente della macchina in movimento che segue, spia ed accompagna il protagonista, restituiscono con chiarezza la difficolta nel procedere nella vita di quest’uomo: fatica a collocarsi nel tessuto sociale e a definirsi egli stesso. Procedendo per tentativi che portano continue frustrazioni cerca di forzare il suo destino con un azione che non fa parte della sua natura. Ed è illuminante in questo senso, la spiegazione dell’etica del furto che al principio del film un passante spiega a lui ed al cognato: rubare non è una scorciatoia che funziona senza una “professionalità” e una sua “etica” di fondo.
Per questa ragione fallisce la rapina di Hussein; manca la preparazione tecnica e quella emotiva necessaria affrontare le conseguenze non prevedibili di un gesto simile.