Aynur è una giovane donna, vive a Berlino e deve sposare il marito che la famiglia, turca, le ha trovato. Senza battere ciglio, accetta la tradizione, torna in Turchia e si sposa. Ma qualche tempo dopo, incinta, torna a Berlino dopo aver lasciato il marito che la picchiava. Il disonore che la famiglia sente di subire dà il via una conflittualità sempre più esasperata, che va di pari passo al processo di emancipazione e che termina con l’omicidio della giovane da parte di uno dei fratelli.
Il film di Sherry Hormann inizia dalla fine, ovvero dalla notizia dell’omicidio di Ayrun, ed è raccontato dalla voce fuori campo dalla protagonista che ripercorre tutte le tappe che hanno portato al tragico evento. Hormann usa oltre alle immagini di finzione, filmati di repertorio dove vediamo la donna reale protagonista della storia, e fermo immagine di momenti salienti della storia, per creare una narrazione sempre capace di ricordarci che si tratta di un evento reale, drammatico e allo stesso tempo quasi grottesco. La protagonista è incastrata in un classico del percorso di individuazione: la necessità, o la voglia, di mantenere il legame con le proprie tradizioni e la voglia costruire il proprio mondo. In alcuni casi, e questo è uno di quelli, le due cose sono incompatibili: per poter procedere nel proprio percorso di vita è necessario allontanarsi dalle proprie radici che non sono disposte ad accettare nessun cambiamento. Proprio questo dualismo irrisolto sarà la causa della fine della protagonista.