Moebius è un film di Kim Ki Duk, inconfondibile.
Una narrazione sempre avvincente, portata avanti senza nessun dialogo e senza nessun contributo musicale. Ciò che rende sempre interessante il film è che la domanda dei protagonisti si evolve e cambia continuamente, scena dopo scena.
E’ la storia di una famiglia di tre persone, uomo donna e giovane figlio. Lei è trascurata, beve, e lui ha un amante. Il ragazzo, nella curiosità e le inquietudini dell’adolescenza, osserva tutti, anche gli incontri segreti del padre con la sua giovane amante. Il dramma ha inizio quando dopo aver scoperto la relazione, lei per vendicarsi tenta invano prima di tagliare il pene al marito per poi riuscire nell’intento col figlio. Ora il padre cerca di rieducare il figlio: a modalità alternative di ricerca del piacere, attraverso il dolore fisico, e soprattutto alla ricerca di un trapianto, dove lui possa fare da donatore. Dopo lunghe ricerche, con la vita del ragazzo e del padre piena di difficoltà, il trapianto si fa, ma non da l’esito sperato: l’organo non funziona. E’ il ritorno della madre che mette in funzione il pene del ragazzo e questo genera la gelosia del padre. Da qui si arriverà ad una serie di tragiche conseguenze.
Film carico di significati e simboli, dove il leit motiv è che il piacere passa sempre attraverso il dolore; si raggiunge col dolore e lascia sempre posto al dolore. In questo circolo senza fine di passioni e attaccamenti che ha origine nel nucleo familiare, l’unica via d’uscita è riparare la relazione con la madre. Sono padre e figlio, uniti dall’organo trapianto che sembra rispondere solo alla loro donna, che per uno è madre e per l’altro è sposa che arrivano alla resa dei conti. Se la capacità di raccontare di Kim ki Duk è sempre di alto livello, in Moebius manca la visione poetica che ha sempre contraddistinto i film del regista coreano; i temi affrontati sono svelati facilmente a discapito del pathos narrativo Il fatto che accade nel film diventa più importante dell’emozione sottostante.