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come uscire da una vita confusaLa prima cosa che mi viene da dire di Seaburner, è che è un film che può contare su una fotografia molto bella, in alcuni tratti davvero incisiva. Infatti Melisa Oneil, la regista turca, nasce fotografa e questo è il suo esordio alla regia.
La storia è ambientata in un imprecisato luogo di confine costiero del mar Nero, tra canneti, fumi e atmosfere sempre torbide, a tratti asfissianti. L’uso stesso della profondità di campo, sempre piuttosto corta, contribuisce a creare questa atmosfera angusta e confusa.
Hamit, il protagonista, vive in una capanna sulla laguna. E’ combattuto tra i compiti che deve svolgere in quanto appartenente ad una organizzazione che traffica con l’emigrazione clandestina, e che probabilmente comincia a non sentire più adatti, e l’amore per Denise, una ricercatrice straniera che non approva questa attività illecita di Hamit. Cosi quando, dopo l’ennesima delusione, Denise decide di tornare nel suo paese, Hamit si stacca definitivamente dal clan e dal boss, proprio durante un’operazione di trasbordo di clandestini, finendo per causare una tragedia.
Una visione pessimistica dove ognuno dei protagonisti, dai componenti della banda, ai clandestini, sembra non poter fare altro che obbedire al proprio destino immutabile.
E chi si ribella, come Hamit, perché la forza dei sentimenti lo spinge a desiderare altro, una vita migliore, lo fa sulla scia di una delusione.
Troppo tardi quindi, tanto da procurare una tragedia.
Come ho detto un film in cui tutta l’atmosfera, la fotografia, l’uso della macchina, le scene, concorrono a creare un’atmosfera torbida e spesso misteriosa. A tratti confusa, come risulta spesso la visione globale del film che si chiude come era iniziato. Come se la regista stessa, pur muovendosi con un rigore formale che mantiene alta l’attenzione, sia ancora alla ricerca di una su definizione espressiva.