Il primo lungometraggio della regista armena Maanya Saakyan, è un lavoro intenso e di grande ricchezza formale. Fotografia accurata e un dettagliato lavoro di postproduzione consentono di ricreare atmosfere che rimandano al grande cinema russo; la guerra raccontata e non vista si riflette in una malinconia che testimonia quel senso di perdita inevitabile durante un conflitto. Sentimenti che hanno radici antiche, che si manifestano in ogni momento dell’esistenza, che il conflitto esalta, ma non crea dal nulla. Semmai è proprio questo che offre alla protagonista una possibilità diversa: quella di fare i conti con la sua storia e riappropriarsene lasciando andare la staticità dei ricordi. Un film bello da vedere, che accompagna con emozioni sussurrate e che a tratti risulta sin troppo formale.
Mayak di Maanya Saakyan
La giovane Lena torna, da Mosca, nel suo villaggio montano in Armenia. È appena scoppiato il conflitto tra Armenia ed Azerbaijan, che fa di tutti i territori teatro di guerra. I suoi tentativi di portare in salvo, a Mosca, i nonni sono vanificata dalla sospensione dei servizi ferroviari. A lena non rimane altro che rimanere e provare ad inserirsi nella realtà del villaggio.
Il primo lungometraggio della regista armena Maanya Saakyan, è un lavoro intenso e di grande ricchezza formale. Fotografia accurata e un dettagliato lavoro di postproduzione consentono di ricreare atmosfere che rimandano al grande cinema russo; la guerra raccontata e non vista si riflette in una malinconia che testimonia quel senso di perdita inevitabile durante un conflitto. Sentimenti che hanno radici antiche, che si manifestano in ogni momento dell’esistenza, che il conflitto esalta, ma non crea dal nulla. Semmai è proprio questo che offre alla protagonista una possibilità diversa: quella di fare i conti con la sua storia e riappropriarsene lasciando andare la staticità dei ricordi. Un film bello da vedere, che accompagna con emozioni sussurrate e che a tratti risulta sin troppo formale.
Il primo lungometraggio della regista armena Maanya Saakyan, è un lavoro intenso e di grande ricchezza formale. Fotografia accurata e un dettagliato lavoro di postproduzione consentono di ricreare atmosfere che rimandano al grande cinema russo; la guerra raccontata e non vista si riflette in una malinconia che testimonia quel senso di perdita inevitabile durante un conflitto. Sentimenti che hanno radici antiche, che si manifestano in ogni momento dell’esistenza, che il conflitto esalta, ma non crea dal nulla. Semmai è proprio questo che offre alla protagonista una possibilità diversa: quella di fare i conti con la sua storia e riappropriarsene lasciando andare la staticità dei ricordi. Un film bello da vedere, che accompagna con emozioni sussurrate e che a tratti risulta sin troppo formale.