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Nelle sterminate steppe della Bielorussia durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di partigiani è in fuga dai tedeschi. Sono senza viveri e due di loro si allontanano per cercare rifornimenti. insieme alla donna che li ha nascosti vengono catturati dai nazisti interrogati e rinchiusi in una stalla in attesa delle decisioni sulla loro sorte.
Un dramma cupo e feroce questo di Larisa Shepitko, girato in un bianco e nero che esalta la sconfinata steppa innevata e allo stesso tempo sta a indicare l’estremo contrasto dei personaggi in questione. Senza mai cadere nella retorica o nell’eccesso sentimentale mette in scena circostanze di grande drammaticità insistendo a lungo sul contrasto caratteriale dei due protagonisti. Uno idealista, fedele a se stesso e alla cause, l’altro che cede alla paura e si rende disponibile a qualsiasi cosa pur di essere risparmiato dai nazisti. Evidentemente sono due estremismi che pur avendo un valore etico opposto devono soccombere di fronte al nemico, che in un caso è il tedesco, nell’altro è il rimorso. La regia non si schiera con nessuno dei protagonisti lasciano allo spettatore la libertà di prendere posizione, dopo aver mostrato con grande chiarezza e rigore espositivo le possibili soluzioni e conseguenze alla prospettiva omicida che i tedeschi mettono in campo

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