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Anne si è appena iscritta all’università e dimostra di avere un futuro promettente. Quando però scopre di essere incinta, la visione del suo futuro cambia drasticamente: non è affatto disposta a rinunciare ai suoi sogni per diventare una madre a tempo pieno. Sono i primi anni ’60 e il solo pensiero di abortire le attira su si se il giudizio di tutte le persone che le sono intorno. Contro tuto e tutti cercherà in ogni modo di interrompere la gravidanza.
Il film di Audrey Diwan è certamente un film duro. La stessa scelta del 4:3 e la scelta di seguire da vicino la protagonista creano la sensazione di claustrofobia che è la stessa che deve vivere la protagonista, alle prese con un mondo intorno dove nessuno è disposta almeno a comprenderla. La messa in scena, apparentemente improntata ad un estremo realismo, è a ben vedere attentamente studiata per colpire duramente lo spettatore. Se da un lato è degna di nota la capacità della regia di trasmettere la sofferenza della protagonista, dall’altro mi chiedo quale sia la vera utilità. Il tema è abbastanza esplorato e la modalità con cui Audrey Diwan lo tratta, non aggiunge molto a mio avviso. Il disagio fisico che trasmette è di quelli di breve durata che non induce ad ulteriori riflessioni.

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