“Il tempo dei cavalli ubriachi” è un film che descrive in modo minuzioso come è regolata la vita in un villaggio montano di confine tra Iran e Iraq.
Si tratta di situazioni davvero estreme. Il territorio, il clima, fa cosi freddo che si da alcol persino ai cavalli (da qui il titolo), la povertà, il costante pericolo delle imboscate che occorrono nel confine tra due nazioni ostili.
La vita per i 5 fratelli, tutti minorenni, uno malato, rimasti orfani è durissima, come lo è per tutti del resto. Loro hanno un problema in più, quello di far operare uno di loro che è malato e che è in pericolo di vita.
Il tentativo di trovare i soldi necessari a farlo operare è il filo conduttore del film che si addentra con precisione nei codici arcaici della comunità; codici inderogabili e gestiti secondo un preciso ordinamento gerarchico. Dalla ricerca del lavoro al matrimonio combinato, tutto segue un ordine preciso che serve per il valore che rappresenta nella propria possibilità di sopravvivenza. E i dolori e le sofferenze che sperimentano gli uomini, in questo caso i bambini della famiglia in questione, sono sempre spunto per una decisa e continua mobilitazione in cerca di una nuova risorsa. Perchè in quelle condizioni non c’è tempo per fermarsi, ne va della vita.
Mi è piaciuto molto il film, che con un tono narrativo asciutto e puntuale porta a calarsi completamente nel tessuto geografico e sociale di una comunità davvero remota e altrimenti inconoscibile. E la sensazione che mi rimane è che come queste ve ne siano tante, che non siano certo casi sporadici ma piuttosto il serbatoio di risorse del pianeta. In questi posti si vive senza nessuna inutile mediazione, ogni cosa ha un suo senso e un suo scopo ed è ottenuta con tenacia e fatica. E si può riflettere anche quanto alcuni codici e usanze che a noi possano sembrare inaccettabili, in quel contesto diventano fondamento per la sopravvivenza della comunità tutta.