Siamo nel 1944 e una famiglia ungherese viene divisa a causa della guerra. Il capofamiglia parte per il fronte, e la moglie trova rifugio altrove dopo aver portato i due gemelli di circa 10 anni al sicuro in campagna, nella fattoria di sua madre. La nonna dei due ragazzi vive sola da tanti anni, è soprannominata la strega, ce l ‘ha con tutti anche con la figlia e con i due nipoti. I due ragazzi, fanno tutto insieme, sono gemelli uniti, praticamente una cosa sola. Cominciano un addestramento alla vita molto duro, che permetta loro di resistere al dolore, alla fame al freddo. Riescono a sopravvivere in un mondo che intorno è sempre più cinico, anche per via della guerra che dopo la sopraffazione degli occupanti tedeschi ha portato le angherie dei liberatori russi. E quando tornano i genitori a riprenderli, capiscono che per loro è il momento di trovare la propria identità in modo autonomo.
Il film di Janos Szasz ha le caratteristiche di una fiaba con i suoi personaggi tipici, la strega il lupo il matto il buono. Mantiene una buona suspance narrativa per tutta la sua durata ed è supportata da fotografia che colpisce per bellezza. La narrazione è rigorosa e ricalca il cinismo che viene raccontato dalla storia. Mentre la guerra viene lasciata sullo sfondo, viene raccontata l’iniziazione alla vita di questi due ragazzi, la loro trasformazione dall’essere un’unica identità alla separazione necessaria. L’integrità assoluta della loro unione e la fermezza nella capacità di perseguire le proprie scelte permette loro di superare le difficoltà iniziali e persino di trasformare in parte la realtà intorno a loro. E dopo il distacco definitivo dalla famiglia di origine possono finalmente trovare la loro strada. Ho visto la storia dei due gemelli come una metafora della persona che sviluppa, crescendo ed espandendosi, le sue sub identità dopo un processo rigoroso di costruzione e affermazione del proprio nocciolo principale affrontando paure e debolezze.