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Mentre sta accatastando i corpi dei deportati appena usciti dalle camere a gas, Saul scorge un bambino ancora in vita. Cerca di salvarlo ma non potrà fare nulla contro la ferocia dell’ufficiale che sopraggiunge.

Siamo ad Auschwitz –Birkenau e, grazie a qualche privilegio che gli deriva dall’esser parte di un sonderkommando, da quel momento il suo unico pensiero sarà quello di dare una degna sepoltura al bambino ed evitargli la cremazione, entrando anche in contrasto con il complotto che i suoi compagni stanno preparando per fuggire.atto d'amore nella brutalità

Ho visto al cinema questo film di László Nemes e mi ha impressionato per il realismo delle vicende narrate grazie ad una regia superlativa. Lo schermo è ridotto ad un quadrato e la macchina da presa è continuamente fissa sul primo piano di Saul, con una profondità di campo ridotta, tutto quello che è sullo sfondo non è a fuoco. Questo restituisce immediatamente e con forza la sensazione di costrizione e di asfissia; la visuale, cosi come lo spazio disponibile e la prospettiva di vita è estremamente ridotto. Lo svolgersi della storia è caratterizzato da una concitazione impressionante ed è accompagnato dalle grida e dai rumori delle guardie del campo e delle macchine. Una messa in scena che fa vivere le sensazioni dei personaggi descritti senza necessità di mostrare molto, gli orrori rimangono su uno sfondo sfuocato.

Il film descrive il rapporto di potere e le gerarchie che esistono tra i prigionieri stessi, l’abuso e la solidarietà che li lega in quel compito orribile di sorveglianti e manovali del campo, che li salva, almeno temporaneamente dal destino finale dei deportati.

Saul in questo spazio di morte trova la vita in quel bambino sopravvissuto, e la sua ossessione di dargli sepoltura sembra proprio la necessità di consegnare al futuro un ricordo intatto. E proprio questo compito, questo atto d’amore che spicca in un contesto di brutalità assoluta, gli darà la forza di concludere la sua esperienza in modo diverso.