Antonio è un giovane ragazzo di provincia, schietto semplice. Si trova catapultato nel reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale di Milano dove il suo bambino deve essere operato per un cancro al cervello. E’ spaesato, si mantiene ben distante dalla varia umanità che popola l’ospedale; i degenti, i loro parenti (per lo più stranieri) il personale. Diffidente, rifiuta tutti gli approcci amichevoli delle persone che come lui vivono nell’ospedale al seguito di un parente, mantenendosi distante da tutto, anche dalla stessa malattia del figlio, al quale sembra dare poca importanza. Dopo l’operazione una complicazione lo costringe a prendere contatto se non altro con le sue emozioni e questo movimenta anche le relazioni con la comunità dell’ospedale.
Un film interessante, che si fa seguire, senza sussulti, poggiato interamente sulle spalle di Filippo Timi, bravo a dare vita praticamente da solo al film, essendo in scena dal principio alla fine. La camera scruta continuamente il suo personaggio, a volte distaccato a volte preoccupato, costantemente fuori luogo
I corpi estranei sono il diverso e la malattia, entità che vengono guardate con diffidenza, tenute lontane per non dargli spazio nella propria vita. E Antonio stesso è un corpo estraneo in quel mondo che non accetta. Solo dopo che almeno la malattia viene sconfitta, può ristabilire un contatto con se stesso e le proprie emozione e puo finalmente tendere la mano allo straniero che con lui aveva condiviso l’esperienza nell’ospedale.