Naomi Kawase da vita ad un lavoro complesso, dove sono diversi gli elementi in ballo: la disabilità e la difficoltà del confronto, in un dialogo che sembra impossibile; l’accettazione della stessa e sullo sfondo, ma non troppo, il cinema. La forza delle immagini, potenti quando mostrate e quando evocate; potenti anche quando queste sono vissute attraverso lo sguardo, che non vede, dello spettatore, secondo un’operazione che ci riporta a Kiarostami. La luce è dunque al centro del discorso, la luce che viene immaginata in termini diversi da ognuno di noi, la luce che sta per scomparire dagli occhi del protagonista e che riesce a ritrovare grazie all’incontro con Misako. Poesia e delicatezza per un film che racconta sentimenti con estrema cura e riservatezza.
Hikari di Naomi Kawase
Naomi Kawase da vita ad un lavoro complesso, dove sono diversi gli elementi in ballo: la disabilità e la difficoltà del confronto, in un dialogo che sembra impossibile; l’accettazione della stessa e sullo sfondo, ma non troppo, il cinema. La forza delle immagini, potenti quando mostrate e quando evocate; potenti anche quando queste sono vissute attraverso lo sguardo, che non vede, dello spettatore, secondo un’operazione che ci riporta a Kiarostami. La luce è dunque al centro del discorso, la luce che viene immaginata in termini diversi da ognuno di noi, la luce che sta per scomparire dagli occhi del protagonista e che riesce a ritrovare grazie all’incontro con Misako. Poesia e delicatezza per un film che racconta sentimenti con estrema cura e riservatezza.