Guardami è il quarto di una serie di studi che Metis Teatro ha portato in scena sul tema della difficile individuazione di se e sul disagio esistenziale che questa comporta. In scena all’Orologio con la regia di Alessia Oteri e l’aiuto regia di Angela Di Tuccio, “Guardami” compie un percorso sulla necessità di essere guardati e riconosciuti. Necessità che diventa un ossessione quanto più è mancata nella propria storia personale.
Lo spunto è il mito di Medea; il dolore incolmabile provocatole dalla tormentata storia d’amore con Giasone, per il quale aveva ucciso, azione che non le era valsa ad assicurarsi il suo amore.
Parte da qui il viaggio di questa immaginaria Medea, da questo bisogno che la porta ad agire e reagire per colmare il suo vuoto. Senso di colpa e bisogni di conferma, che danno vita ad un insistente a tratti meccanico per quanto ossessivo, conflitto con se e con l’altro.
Come la Medea del mito è capace di magie, l’istanza narrante ritrova il contatto con se stessa quasi per magia guardandosi allo specchio. Da questo momento può diventare protagonista del suo tentativo di rinascita. La scena si sgombra dall’ossessiva presenza di voci e corpi e finalmente è tempo di lanciare i primi semi per una rinascita. Una rinascita che per ora è possibile solo affidare ad un video, quello che nel finale emozionate mostra timide frasi di autoaffermazioni alternate alle immagini dei lavori precedenti della studio in questione.
Semi di rinascita che devono trovare la loro origine nella storia vissuta che, pur dolorosa, è parte integrante del cammino personale.
La regia di Alessia Oteri, insiste sulla potenza ossessiva delle ingiunzioni negative, recitate dal coro degli attori e delle attrici che rappresentano quasi le diverse anime di un unico. E’ un lavoro che non lascia respiro, accentuato dalla presenza continua della musica e degli attori che occupano tutta la scena con movimenti di insieme a rappresentare stati emotivi dolorosi; un tracciato di parole musica e movimenti che restituisce appieno la forza asfissiante delle ingiuntive negative che ci portiamo dentro.
Come se il silenzio, non riuscisse a trovare posto.
Ottimo il lavoro di movimenti scenici, luci e costumi; tutto estremamente coerente nel descrivere una dolorosa ossessione che ferisce. E la regista mostra una grande capacità di valorizzare al meglio lo spazio scenico a disposizione, sfruttandone ed esaltandone le particolarità.