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Christiane è un’adolescente berlinese che vive con la mamma e la sorella, in un ambiente famigliare piuttosto complicato. Sogna di andare alla discoteca Sound, la più grande d’Europa, e l’occasione si presenta grazie ad un’amica. Siamo a fine anni ’70 e la discoteca, tra gli altri, è un luogo dove la droga circola in grandi quantità. Christiane conosce un ragazzo, Detlef, del quale si innamora e con lui comincia ad assumere prima lsd e poi eroina.
Uli Edel racconta una storia di tossicodipendenza, che somiglia a tante altre. Il contesto storico è quello degli anni ’70, quello di una enorme diffusione delle sostanze, dovuto anche al fatto di una scarsa conoscenza del fenomeno; anni in cui non si era del tutto consapevoli del percorso che l’eroina porta a fare in modo quasi obbligato. La storia è rappresentata senza nessuna tentazione melodrammatica, senza nessun ricorso alla sentimentalità dello spettatore; si tratta quasi di una cronaca, lucida e cruda, dove sono rappresentati senza filtri tutti i momenti più importanti della progressione della malattia da abuso di sostanze. Non ci sono momenti di svolta decisivi, ma il passaggio che porta alla condizione di tossicodipendenza viene mostrato, così come avviene nella realtà, come un processo che si sviluppa in modo rapido e in modo quasi inconsapevole: quando ancora si pensa che si può controllare il grado di coinvolgimento, è già fin troppo tardi. L’alternativa alla morte , in molti casi per overdose, è la decisione di smettere ed affrontare un difficile percorso di guarigione.

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