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In una casa della campagna del nord della Francia vivono Pascale e i suoi due figli gemelli Thierry e Francois. I tre vivono in un mondo a parte, caratterizzato da un forte legame, a tratti morboso, che li mantiene tutti in uno stato di adolescenza, nonostante i due ragazzi abbiano venti anni. Ogni tanto appare il padre, verso il quale Pascale, ormai divorziata da tempo, nutre ancora una forte animosità. Le cose cambiano quando la donna si innamora di un vicino e progetta di vendere la casa.
Joachim Lafosse sceglie di mantenere la sua macchina da presa immobile sulle scene che si succedono per almeno due terzi del film; è l’immobilità che rappresenta la situazione del nucleo famigliare, incapace di evolvere e separarsi per fare emergere le singole individualità. Il rapporto tra i tre protagonisti è caratterizzato da una certa ambiguità di fondo che ha la funzione di mantenere tutti perennemente legati tra loro. L’elemento nuovo che arriva a rompere l’equilibrio è l’innamoramento della madre che la porta a cercare qualcosa di diverso. Spezzato in modo drammatico l’equilibrio, ognuno dovrà fare i conti con se stesso, a cominciare dalla coppia dei genitori che simbolicamente si ritrova a raccogliere i cocci di quello che è stato il fallimento del loro matrimonio. La macchina da presa riprende a muoversi a accompagni i protagonisti nell’espressione di nuovi bisogni. Un film che è quasi un Kammerspiel, in cui il regista, gemello anch’egli, ricostruisce e trasmette il senso di oppressione misto ad incoscienza giovanile che genera una situazione così strettamente vincolante

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