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Aleksandr è un uomo di mezza età, ex attore ritiratosi dalle scene perché il mestiere poteva confliggere con la sua identità. È un intellettuale ritiratosi in una casa sulle rive del mare assieme alla moglie e ai figli, soprattutto il piccolo maschio con cui passa le giornate. Il giorno del suo compleanno accoglie in casa pochi amici per festeggiare, ma la tv annuncia lo scoppio di una guerra nucleare. Aleksandr, che aveva detto di non aver rapporti con Dio, in preda al terrore comincia a pregare e ad offrire a Dio tutto quello che ha, in cambio della salvezza. Il suo amico postino gli suggerisce di “giacere” con una delle due domestiche, strega dai poteri soprannaturali.
Sacrifico è l’ultimo film di Andrej Tarkovskij, quello che lui stesso definisce come il più rappresentativo della sua filmografia. Girato in lunghi piani sequenza, su un impianto quasi teatrale, e con una fotografia magistrale il film affronta le inquietudini dell’uomo, e in particolar modo il suo rapporto con la paura, capace di stravolgere le esistenze.
Il protagonista, ateo, nel momento più difficile non esita a far ricorso alla religione e alla magia, pratiche lontanissime dal suo modo di essere, pur di trovare una salvezza. Ma la sua salvezza è solo un riflesso della salvezza dei suoi cari, che è quella per cui sacrifica la sua esistenza, rinunciandovi.
La salvezza, infine, risiede nel ritorno alla semplicità della domestica, forse strega, forse no, ma certamente capace di sintonizzarsi coi sentimenti degli altri, del protagonista in questo caso. È per questo che, una volta tracciata la via, il finale apre alla speranza, rappresentata dal piccolo che riprende i lasciti del padre e coltiva la speranza in un futuro che è rappresentato da un albero che avevano piantato insieme, e di cui si prenderà cura. Interessante l’uso del colore che divide il film in 3 parti: il colore naturale, decolorazione e bianco e nero stanno a rappresentare la normalità, la crisi e l’eventuale futuro catastrofico, solo immaginato da Tarkovskij

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