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Nei primi anni 90 c’è una comunità che risiede nell’appennino centrale ed è rimasta legata a valori della società superati da tempo. L’Inviolata è un podere in cui famiglie di contadini lavorano per la proprietaria, Marchesa De Latte in condizione di servitù. Tra questi, Lazzaro, è un ragazzo buono e semplice al quale tutti si rivolgono per affidare lavori e al quale nessuno presta attenzione. Casualmente stringe amicizia con Tancredi, figlio ribelle della marchesa, un’amicizia che durerà nel tempo, anche quando Lazzaro si ritrova catapultato nella società contemporanea.
Il lavoro di Alice Rohrwacher è diviso in due parti piuttosto nette, la prima quella più lirica è la ricostruzione della vita dei contadini nel podere, la seconda è il ritorno al contemporaneo dove a tratti i personaggi faticano a calarsi in quella parte straniante che è la cifra linguistica di tutto il film, e dove la presenza di attori diviene preponderante rispetto a quella dei non professionisti cosi efficace nella prima. E’ una fiaba amara sulla bontà necessaria in un mondo che pur cambiando nel tempo, negli oggetti, nelle apparenze mantiene la logica dell’oppressione verso il più debole, creando una ripetizione infinità. Mantenere la capacità di amare, l’integrità morale e la fedeltà ai valori più importanti permette di passare quasi indenne attraverso il gioco dei poteri attuato costantemente dagli uomini. Una rivisitazione in chiave favolistica di san Francesco e anche un forte rimando al neorealismo Zavattiniano di Miracolo a Milano

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