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Nella Leningrado del 1945 gli effetti della guerra appena terminata sono devastanti. Iya è una ragazza altissima, introversa con un disturbo da stress che periodicamente la paralizza. Proprio durante uno di questi momenti soffoca il piccolo Pashka, figlio dell’amica Masha che le aveva dato in affido il bambino in attesa di tornare dal fronte. Quando Masha scopre che il bimbo non c’è più decide di avere un altro figlio a qualsiasi costo, e chiederà aiuto a Iya dal momento che i continui aborti l’hanno resa sterile.
Quello di Kantemir Balagov è un film stilisticamente perfetto. L’uso del colore e della fotografia in genere è quello di un pittore ed ogni quadro restituisce un’immagine di rara bellezza. La macchina da presa indugia a lungo sui volti dei protagonisti, e ogni scena è raccontata con un tempo che non è mai concitato. I protagonisti condividono una situazione di dolore, di mancanza e soprattutto la grande difficoltà di comunicare. La necessità di ricostruire la propria vita dalle macerie della guerra trova spazio nella solidarietà che le due protagoniste manifestano l’un l’altra. Pur raccontando temi forti, con una narrazione intesa, la regia mantiene un grande distacco dalle vicende, lo stesso distacco di autodifesa che mostrano i protagonisti, e che forse penalizza la visione.

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