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Jeanne Dielman è vedova da 6 anni, vive on il figlio adolescente che accudisce con grande attenzione. La sua vita da donna di casa è scandita da funzioni che sono quasi un rito per la maniacalità e la precisione con cui vengono svolte. Tra queste, c’è l’impensabile abitudine di prostituirsi in casa, una volta al giorno nel tardo pomeriggio, con dei clienti abituali che tornano settimanalmente. Proprio dopo uno di questi incontri la ripetitività ossessiva della sua vita comincia a scricchiolare.
Chantal Akerman piazza la sua telecamera nella casa della sua protagonista e ne racconta le vicende per 3 giorni, dal Lunedi al Mercoledì. Lo stile è quello suo tipico, macchina ferma e distanza emotiva dalle vicende raccontate; scene molto lunghe che rifiutano l’ellisse e raccontano i dettagli quotidiani, quelli che di solito vengono trascurati. La narrazione, pur minima, risiede proprio nella minuzia con cui vengono descritti i piccoli banali dettagli: per circa tre ore apprendiamo quali sono i riti quotidiani della donna, ci sorprendiamo nel vedere quanto siano ricchi di sfumature e capiamo via via come all’interno di queste ripetizioni ci sia un cambiamento che il finale inaspettato, che dà il senso alla narrazione, ci rivela. La Ackerman ci mostra una donna completamente dedita ad una vita di sacrificio, per la casa e per il figlio, e che riesce ad inglobare nel tran tran persino la prostituzione. Il prezzo da pagare per mantenere questa routine p molto alta, la rinuncia alle emozioni ed al piacere che può scaturire da queste. E basta che una piccola parte di piacere faccia inaspettatamente capolino che il castello crolli rapidamente ed in modo drammatico. Ackerman realizza un lavoro straordinario, per contenuti e riflessione meta cinematografica, per un film che diventa sempre più interessante col passare delle ore di visione.

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