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Mancano 7 giorni all’inizio del nuovo millennio, il 2000, in una piovosa Taiwan. Un’epidemia sta mettendo a dura prova la popolazione che dovrebbe raggiungere i luoghi di quarantena stabiliti dalle autorità, ma un uomo e una donna trasgrediscono la regola e rimangono braccati nel loro appartamento. Lui abta nell’appartamento esattamente sopra quello di lei. In seguito ad un guasto delle tubature, un idraulico poco capace fa un buco nel pavimento della casa di lui, che cosi entra direttamente in contatto con lei. Inizia un rapporto di vicinato mai sperimentato primo e del tutto complicato.
Il film di Tsai Ming-liang è un lento stillicidio che racconta la nevrosi imperante nella società del nuovo millennio. In un mondo dove le relazioni sono quasi inesistenti, l’improvvisa vicinanza tra due esseri umani mette in moto una serie di reazioni di intolleranza. Solo quando diventa possibile esperire emozioni diverse, legate all’interesse, all’amore, si apre la porta, per i due protagonisti ad un cambio della modalità relazionale, dando spazio ad un sospirato cambiamento. Lo stile della regia è sobrio, assolutamente privo di qualsiasi retorica tesa a rafforzare quelle emozioni che vengono raccontate durante la narrazione. Molti long shot, assenza di dialoghi e ridotti movimenti di macchina portano lo spettatore ad una visione che richiede la presa di contatto con il materiale narrato, e a sperimentare quindi quel senso di frustrazione e inquietudine che è quello che tiene legati i due protagonisti a modalità comportamentali aggressive.

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