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In una villa di campagna piacentina vive una famiglia problematica. La madre è cieca, due figli soffrono di epilessia, Giulia è innamorata dei due fratelli e Augusto, il maggiore è l’unico che conduce una vita normale, ha un lavoro ed esce. Tutti gli altri sono quasi rinchiusi nella antica villa, lontana dalla società che è in evoluzione. Per Bellocchio però il malessere sociale arriva anche li, l’istituzione famiglia è in piena crisi, la malattia sociale è in questo caso anche malattia patologica. Se nella prima parte il maggiore dei fratelli si erge a protagonista, lui che dirige le cose di casa, nella seconda parte Alessandro si erge ad assoluto problematico protagonista. Un’esistenza profondamente tormentata e un’energia che non riesce ad essere indirizzata e trasformandosi in rabbia repressa finisce per trovare obietto, facile i componenti più deboli della famiglia, quelli che a suo avviso tengono tutti immobilizzati impedendogli di vivere liberamente la vita. Il film caratterizzato da una grammatica che a tratti rimanda alla Nouvelle Vague prende una piega tragica nel finale, quando il giovane pensa di eliminare le cause di tanto malessere. Eliminerà le cause patologiche della grande sofferenza che tutti vivono, ma i motivi esistenziali rimarranno intatti, chiedendo di essere affrontati in altro modo

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