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Dopo 17 anni di attesa di un permesso di soggiorno per sua moglie e sua figlia, Walter, rifugiato angolano, può finalmente accogliere a New York la moglie Esther e la figlia adolescente Sylvia. La ricostruzione de nucleo famigliare si rivela molto complessa, il tempo ha reso quasi sconosciuti moglie e marito; inoltre Walter aveva vissuto con Lynda una lunga storia d’amore, interrotta proprio a cause dell’arrivo della sua famiglia dall’Angola, e non è facile per lui, dimenticare tutto. In un crescendo di tensione, sarà il ballo, vecchia passione dei due sposi e della stessa figlia a offrire una possibilità per cambiare le cose.
Ekwa Msangi racconta una storia di immigrazione, dove tutte le problematiche relative alla transizione restano in realtà sullo sfondo; il vero focus è sulla difficoltà di ritrovarsi, di ricostruire una nuova identità. Tutti i protagonisti devono fare i conti con il cambio delle loro vite che richiede un nuovo, non facile adattamento. Attaccati alle esperienze passate, divenute ormai anche scudo protettivo, e incapaci di aprirsi al nuovo trovano in una passione comune, il ballo, la possibilità di avvicinarsi e cominciare a riconoscersi. In una drammatica notte i tre protagonisti vivranno l’esplosione della crisi e allo stesso tempo getteranno le basi per una nuova modalità relazionale. Interessante il lavoro della sceneggiatura che ci mostra il racconto dal punto di vista dei tre protagonisti, ripartendo ogni volta dal principio e aggiungendo un pezzo. Msangi sceglie per tutta la durata del film una profondità di campo molto ridotta che solo nell’ultima sequenza, a famiglia veramente riunita può diventare lunga, comprensiva di tutti i personaggi finalmente riuniti.

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