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A Minsk, capitale della giovane repubblica della Bielorussia, Evelina ha un sogno: viaggiare negli Stati Uniti, a Chicago, patria della musica house che lei suona nei club come dj. Siamo nel 1996, il paese versa in condizione economiche molto difficili, la necessità di emanciparsi anche culturalmente, di cercare quella liberta che al momento sembra ancora negata, spinge la ragazza a chiedere un visto per viaggiare negli Usa. Ma un errore nelle pratiche la costringe ad andare a Crystal, un piccolo paese dove viene catapultata nella storia di una famiglia che sta preparando un matrimonio.
Darya Zhuk racconta una storia di formazione ambientata in un clima, quello bielorusso degli anni ’90, decisamente opprimente. Sceglie di ricostruire l’immagine filmica tipica di quell’epoca: il formato 4:3 e alcune ricostruzioni, che sono miscelate ad altre soluzioni non necessariamente riconducibili all’epoca. Ne risulta un pastiche postmoderno che bene esprime il disagio e la mancanza di riferimenti della protagonista. Nel tentativo di trovare una propria forma di evoluzione personale, ispirata a criteri di libertà ed autodeterminazione ancora impossibili in quel periodo, la protagonista si scontra con tutti i peggiori stereotipi presenti nella società. Dovrà rimodulare le sue aspettative per trovare una nuova via da percorrere, una strada che possa ancora risultare aderente al suo progetto iniziale

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