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conflitti non risoltiAttraverso il racconto di piccole storie individuali all’interno di una comunità rurale della campagna belga, “La quinta stagione” con un linguaggio paradossale di citazioni e simboli descrive cosa accade quando, per un incidente, la vita rimane imprigionata dentro l’inverno. Le stagioni che seguono, pur mantenendo il loro carattere, portano a sviluppi inaspettati. Tutto comincia d’inverno, un periodo di speranza, fertile; in questo senso, il freddo e la neve aiutano la vicinanza della comunità, gli amori sono teneri, si creano relazioni e se ne rafforzano altre. La festa che simbolicamente dovrebbe bruciare lo zio inverno pero va male; il falò non si accende. Il conflitto rimane irrisolto. La primavera porta i suoi cambiamenti ma in peggio. I terreni non producono raccolti, gli amori vivono conflitti, e tutti gli equilibri cominciano ad alterarsi in modo incontrollato. E l‘estate porta a maturazione e quindi a compimento i processi in corso provocando in questo caso una serie di rotture definitive. L’autunno sarà il momento della pulizia, che in questo caso è drammatica perché coincide con un grossolano giustizialismo, e che risponde a confusi intenti punitivi. A questo punto non può esserci un nuovo inizio, un nuovo inverno. E cosi arriva la quinta stagione, che è quella che non c’è, la fine. Questa è la mia chiave di lettura di questo film, minimalista in tutta la sua forma espressiva, fino a diventare ermetico. Dove c’è un conflitto irrisolto, dove la chiusura di un ciclo non si compie nel modo corretto, si generano conseguenze negative a catena.  Molto suggestiva la fotografia.