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Siamo nel 1927 e ad Hollywood è iniziata l’era del sonoro. Non tutti sono pronti al passaggio e i film che vengono prodotti senza audio cominciano a rischiare il fiasco, così per salvare dal fallimento l’ultimo lavoro di due divi del muto, Don Lockwood e Lina Lamont, i protagonisti pensano a trasformare in un musical il film che avevano appena finito di girare.

Singin’ in the Rain di Stanley Donen e Gene Kelly rimane il capolavoro dei musical anche a distanza di tanti anni. Le qualità espresse dai protagonisti e la formula narrativa di raccontare il cinema nel cinema mantengono intatta la freschezza dell’opera.

C’è un tema che affrontano tutti i protagonisti, che è quello della capacità di adattarsi al cambiamento. L’evoluzione del cinema richiede ai personaggi di essere in grado di trovare nuove soluzioni, mettersi di nuovo in gioco per non rischiare di rimanere tagliati fuori. Per molti è una transizione difficile, altri riescono nel passaggio grazie alla creatività e alla disponibilità, accettando il rischio di creare il nuovo.

Quello che lega tutta gli eventi è il discorso su ciò che è vero, e ciò che non lo è, un discorso metacinematografico che continuamente rovescia la chiave di lettura, rimanendo sempre credibile.

Come dire, è più importante saper raccontare che quello che si racconta.

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